«I suoi primi angosciosissimi urli furono sufficienti a smontarci. Echeggiarono lunghi, ossessionatamente modulati, e furono dentro di noi come una tempesta di spaurenti dimensioni che spazzò via le nostre scorie vili, consegnandoci la sua pena intera, il nostro sgomento e ci spinse a disserrare le finestre nelle sue notti e a gridare piangenti il suo nome sulla scia straziante del suo urlo.
Impotenti a far nulla, prendemmo a spiarlo dalla finestra, da una fessura della porta, a seguirlo cogli occhi dibattersi nelle spire e nell’arsura dell’animale, nel deserto e nell’orribile misconoscenza della sua persona umana, nella caotica e orrida geografia delle sue mani e dei suoi piedi, della sua voce e dei suoi istinti».
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